Dall’epoca in cui si è verificato il fatto, nell’anno 2011, a oggi si siano succedute ben tre normative.
Nel 2011 l’ordinamento non dettava alcuna particolare prescrizione in tema di responsabilità medica.
Erano dunque applicabili i principi generali in materia di colpa, alla stregua dei quali il professionista era penalmente responsabile, ex art. 43 c.p., quale che fosse il grado della colpa.
Era cioè indifferente, ai fini della responsabilità, che il medico versasse in colpa lieve o in colpa grave.
Nel 2012 entrò in vigore il D.L. 13 settembre 2012, n. 158, convertito in L. 8 novembre 2012, n. 189 (cosiddetta legge Balduzzi), il quale all’art. 3, comma 1, recitava: “L’esercente la professione sanitaria che, nello svolgimento della propria attività, si attiene alle linee-guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve. In tali casi, resta comunque fermo l’obbligo di cui all’art. 2043 c.c.
Il giudice, anche nella determinazione del risarcimento del danno, tiene debitamente conto della condotta di cui al primo periodo”.
È poi entrata in vigore la L. 8 marzo 2017, n. 24 (c.d. legge Gelli-Bianco), la quale, all’art. 6, ha abrogato il predetto D.L. n. 158 del 2012, art. 3 e ha dettato l’art. 590 sexies c.p., attualmente vigente.
Occorre dunque stabilire quale sia il regime applicabile al caso di specie.
continua...
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