Il Ministero della salute è tenuto a esercitare un’attività di controllo e di vigilanza in ordine (anche) alla pratica terapeutica della trasfusione del sangue e dell’uso degli emoderivati, e risponde ex art. 2043 c.c., per omessa vigilanza, dei danni conseguenti a epatite e a infezione da HIV contratte da soggetti emotrasfusi.
Dallo stesso quadro normativo in base al quale risultano attribuiti al Ministero poteri di vigilanza e controllo in materia, si evince come fosse già ben noto sin dalla fine degli anni ‘60 – inizi anni ‘70 il rischio di trasmissione di epatite virale, la rilevazione (indiretta) dei virus essendo possibile già mediante la determinazione delle transaminasi ALT ed il metodo dell’anti-Hbc, e che già da tale epoca sussistevano obblighi normativi (Legge n. 592 del 1967; D.P.R. n. 1256 del 1971; L. n. 519 dei 1973; L. n. 833 del 1973) in ordine a controlli volti ad impedire la trasmissione di malattie mediante il sangue infetto.
Sin dalla metà degli anni ‘60 erano infatti esclusi dalla possibilità di donare il sangue coloro i cui valori delle transaminasi e delle GPT indicatori della funzionalità epatica – fossero alterati rispetto ai limiti prescritti.
Il dovere del Ministero della salute di vigilare attentamente sulla preparazione e utilizzazione del sangue e degli emoderivati postula l’osservanza di un comportamento informato a diligenza particolarmente qualificata, specificamente in relazione all’impiego delle misure necessarie per verificarne la sicurezza, essendo tenuto ad evitare o ridurre i rischi a tali attività connessi.
Emerge evidente, a tale stregua, il comportamento omissivo e comunque non diligente del Ministero nei controlli e nell’assolvimento dei compiti affidatigli (ivi compresi quelli relativi all’attuazione del Piano sangue, previsto dalla L. n. 592 del 1967 e realizzato solo nel 1994).
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