L’acquisizione del consenso non è preordinata a evitare fatti dannosi prevedibili, ma a tutelare il diritto alla salute e il diritto alla scelta consapevole in relazione agli eventuali danni che possano derivare dalla scelta terapeutica.
Nel caso in cui il medico sottoponga il paziente a un trattamento chirurgico diverso da quello in relazione al quale era stato prestato il consenso informato e tale intervento, eseguito correttamente, si sia concluso con esito fausto, nel senso che ne è derivato un apprezzabile miglioramento delle condizioni di salute, in riferimento anche alle eventuali alternative ipotizzabili e senza che vi fossero indicazioni contrarie da parte del paziente medesimo, tale condotta è priva di rilevanza penale, tanto sotto il profilo del reato di lesioni volontarie (art. 582 c.p.), che sotto quello del reato di violenza privata (art. 610 c.p.).
Si tratta piuttosto di apprezzare gli effetti penali che dall’eventuale mancato o invalido consenso possono derivare per il medico in caso (ovviamente) di esito infausto o comunque dannoso del proprio intervento.
[/level-accesso-ai-contenuti-del-blog]E’ il tema di fondamentale rilievo della valutazione del contenuto della “colpa”.
La valutazione del comportamento del medico, sotto il profilo penale, quando si sia in ipotesi sostanziato in una condotta (vuoi omissiva, vuoi commissiva) dannosa per il paziente, non ammette un diverso apprezzamento a seconda che l’attività sia stata prestata con o in assenza di consenso.
Cosicché, il giudizio sulla sussistenza della colpa non presenta differenze di sorta a seconda che vi sia stato o no il consenso informato del paziente.
Con la importante precisazione che non è di regola possibile fondare la colpa sulla mancanza di consenso, perché l’obbligo di acquisire il consenso informato non integra una regola cautelare la cui inosservanza influisce sulla colpevolezza: infatti, l’acquisizione del consenso non è preordinata (in linea generale) a evitare fatti dannosi prevedibili (ed evitabili), ma a tutelare il diritto alla salute e, soprattutto, il diritto alla scelta consapevole in relazione agli eventuali danni che possano derivare dalla scelta terapeutica in attuazione di una norma costituzionale (art. 32, comma secondo).
In realtà, in un unico caso la mancata acquisizione del consenso potrebbe avere rilevanza come elemento della colpa: allorquando, la mancata sollecitazione di un consenso informato abbia finito con il determinare, mediatamente, l’impossibilità per il medico di conoscere le reali condizioni del paziente e di acquisire un’anamnesi completa; ciò che potrebbe verificarsi, esemplificando, in caso di mancata conoscenza di un’allergia ad un determinato trattamento farmacologico o in quello di mancata conoscenza di altre specifiche situazioni del paziente che la sollecitazione al consenso avrebbe portato alla attenzione del medico.
In questa evenienza, il mancato consenso rileva non direttamente, ma come riflesso del superficiale approccio del medico all’acquisizione delle informazioni necessarie per il corretto approccio terapeutico.
E’ in questa prospettiva, che regge e va condivisa la decisione gravata, allorquando evidenzia il tema della affermata mancanza di un consenso valido e pieno come nello specifico dimostrativo di un atteggiamento colposo del sanitario, rilevante ai fini del verificatosi evento lesivo, giacché la mancata prospettazione dell’alternativa possibile (che doveva essere posta in sede di consenso informato) all’intervento (nello specifico, il follow up terapeutico) ha posto le condizioni per un approccio interventistico approssimativo e inutilmente rischioso.
Cassazione penale sez. IV, 21/12/2017 n. 2354
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