di G. Cuttillo e L. Maffei
Rischio Sanità n. 41 – giugno 2011
Le cadute dei pazienti ricoverati in ospedale o nelle strutture protette, specie se anziani, rappresentano un problema molto rilevante. Esse costituiscono un evento avverso che si verifica frequentemente in ambito ospedaliero e rappresentano la causa di importanti complicanze nel corso della degenza, nonché la causa di invalidità temporanea e permanente della persona. Le cadute possono causare: traumi cranici, danni cerebrali, lesioni degli organi interni, lesioni dei tessuti molli, fratture, ecc. Oltre ai danni fisici, l’anziano sviluppa un forte senso di insicurezza che lo induce a limitare l’attività fisica compromettendo la propria autonomia e la qualità di vita. La letteratura internazionale definisce l’evento caduta in vari modi.
Nel 1987 il “Kellogg International Working Group” definì la caduta come un “involontario trasferimento del corpo al suolo o ad un livello inferiore rispetto a quello precedente, includendo anche quello causato da un colpo violento, dalla perdita di coscienza, da un improvviso ictus o da un attacco epilettico”.
Secondo il World Health Organization (WHO)2 la caduta invece viene definita come “cambiamento nella posizione non intenzionale che costringe una persona ad accasciarsi a terra, sul pavimento o ad un livello più basso escludendo il cambio intenzionale della posizione con appoggio a mobili, pareti o altri oggetti”.
L’obiettivo generale di un progetto finalizzato alla prevenzione del fenomeno delle cadute in ospedale è quello, non solo di minimizzare l’impatto economico sul sistema, ma soprattutto di garantire dei processi di assistenza e di cura di qualità sempre maggiore, adempiendo, tra l’altro, a una delle obbligazioni principali del “contratto di spedalità” che è quella di garanzia della sicurezza.
continua...
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