Col conseguente diritto di ottenere il risarcimento del danno consistente nella perdita di una pluralità di opzioni, con le quali affrontare la prospettiva della fine ormai prossima.
Nel caso di specie, si trattava del caso di una donna operata per un tumore di cui per errore era stata accertata la natura benigna, che di lì a pochi mesi l’aveva condotta al decesso.
Per i giudici di merito non vi era alcuna prova che la ritardata diagnosi del carcinoma avesse compromesso le chance di guarigione della paziente; per i giudici di legittimità, invece, qui rileva l’autodeterminazione del soggetto chiamato alla più intensa prova della vita, qual è il confronto con la realtà della fine.
Così ragionando, tuttavia, la sentenza di merito ha ignorato che il ritardo diagnostico (peraltro, acclarato come sicuramente negligente) ha determinato la perdita diretta di un bene reale, certo (sul piano sostanziale) ed effettivo, non configurabile alla stregua di un quantum (eventualmente traducibile in termini percentuali) di possibilità di un risultato o di un evento favorevole (secondo la definizione elementare della chance comunemente diffusa nei discorsi sulla responsabilità civile), ma apprezzabile con immediatezza quale correlato del diritto di determinarsi liberamente nella scelta dei propri percorsi esistenziali in una condizione di vita affetta da patologie ad esito certamente infausto.
E’, dunque, la lesione di tale libertà che è rimasta priva di ogni considerazione da parte della sentenza impugnata, ovvero quella di scegliere come affrontare l’ultimo tratto del proprio percorso di vita, una situazione, questa, meritevole di tutela al di là di qualunque considerazione soggettiva sul valore, la rilevanza o la dignità, degli eventuali possibili contenuti di tale scelta.
continua...
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