La colpa grave, che deve sussistere perché si possa parlare di danno erariale risarcibile,
deve essere provata dall’accusa e non affermata in termini apodittici
La colpa grave, che deve sussistere perché si possa parlare di danno erariale risarcibile, deve essere provata dall’accusa, che deve indicare i necessari parametri di riferimento della condotta virtuosa violata.
E questo non si ottiene per mezzo della critica al comportamento, in assenza di qualunque osservazione su cosa il sanitario avrebbe dovuto fare per essere esente da colpa.
La critica fine a se stessa rimane un’affermazione apodittica, che non può assumere nessuna rilevanza a sostegno della qualificazione della gravità della colpa.
E’ noto peraltro che la medicina non è una scienza esatta; tanto nella diagnosi quanto nella terapia essa ha un valore probabilistico, trova fondamento nella casistica.
Questo significa che qualsiasi intervento comporta un certo grado di rischio e in alcune condizioni il pericolo di errore cresce in maniera esponenziale.
Nel caso di specie, la paziente ha dovuto sottoporsi all’esecuzione di una colonscopia diagnostica su richiesta del Day Hospital Oncologico, essendole stato riscontrato sangue occulto nelle feci, tanto che dall’esame è poi risultata la presenza di un carcinoma.
La paziente era inoltre affetta da una grave diverticolite, patologia che notoriamente determina una lassietà parietale; il medico le ha comunque effettuato l’esame e le ha diagnosticato un tumore.
La perforazione del cieco che si è verificata non si può considerare causata da un errore medico: si tratta di una complicanza dell’esame stesso, magari rara, ma fisiologica e come tale del tutto indipendente dalla “accuratezza, diligenza e meticolosità” del sanitario che lo ha eseguito.
CORTE DEI CONTI, Sezione Giurisdizionale Regionale dell’Umbria, sentenza n. 43 del 27 maggio 2016