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Infezioni Ospedaliere – Tribunale di Roma

Tribunale di Roma – Sez. 13 GU dott. Massimo Moriconi – Ordinanza del 27.06.2016

Luglio 15, 2016 9:59 am by: Category: Notizie Leave a comment A+ / A-

Tribunale di Roma – Sez. 13 GU dott. Massimo Moriconi – Ordinanza del 27.06.2016

Infezioni Ospedaliere – Onere della prova – Sanificazione – Ricerca dei Modelli Procedimentali – Mediazione demandata – Obbligatorietà e Sanzioni

Il Tribunale di Roma torna ad affrontare l’annoso ed irrisolto problema delle Infezioni Ospedaliere e, con ordinanza del 27 giugno 2016, non si limita ad inquadrare la fattispecie del caso concreto ma individua i parametri – generali – attraverso i quali il Nosocomio (su cui incombe l’onere della prova) deve soddisfare, quand’anche e soprattutto appagare, il giudizio di accertamento che, anche attraverso lo strumento della CTU medicolegale, spinge il giudicante alla ricerca – storicizzata all’evento – di quei modelli procedimentali previsti dai protocolli, anche ministeriali, in subjecta materia.

Il ragionamento posto a base del decisum mira, dunque, ad inquadrare con specifico ed attento esame della vicenda – distinta in ogni sua autonoma fase – il perimetro entro il quale  possa ritenersi soddisfatto l’accertamento di quella diligenza esigibile e quel minimo rischio che rende aliena l’infezione nosocomiale.

Precisa e premette il Tribunale Capitolino come in tali vicende l’attenzione da esigere debba assurgere al grado più alto, sì da “non addossare alla struttura ospedaliera una responsabilità derivante dalla contrazione di infezione nosocomiale a titolo di responsabilità oggettiva che – in questo ambito- non ha patria nel nostro ordinamento…”, e così rammentando – fors’anche a se stesso – che non possa tipizzarsi, in unicum indiscriminato, la categoria delle infezioni batterica, dal quale far discendere una immediata responsabilità della Struttura Sanitaria.

 

Ed allora, l’indagine andra rivolta a quel processo di “sanificazione” che, secondo il Giudice Estensore, deve necessariamente qualificarsi in una attività effettiva, adeguata ed utile, che rimane, probatoriamente priva di pregio, se si arresta a meri richiami burocratici – di presa visione da parte degli organi competenti – senza alcuna tangibile dimostrazione che “…tali attività abbiano avuto in concreto, non rimanendo confinate nella mera burocrazia, attuazione effettiva, il che può essere evinto solo attraverso specifiche attività di monitoraggio, riscontro, elaborazione e azioni positive conseguenti …”.

 

Il Tribunale Romano, peraltro, non si arresta ad un generico richiamo del “corretto modus operandi” di un buon Governo Clinico, ma nella sua prodigalità suggerisce – alle Strutture Sanitarie che oggi tentano di combattere, con enormi difficoltà, il fenomeno infettivo – il suo pensiero, per un sistema attraverso il quale le stesse organizzazioni sanitarie si possano rendere responsabili di un miglioramento continuo della qualità dei loro servizi, garantendo elevati standard assistenziali e creando le condizioni ottimali nelle quali viene favorita l’eccellenza clinica.

 

Il richiamo è, dunque, pratico e funzionale, scevro di quella burocrazia (molto spesso causa primaria di un sistema inadeguato) che inficia ogni valida attività probatoria, e deve seguire un iter costruttivo che miri: “1) a controlli e verifiche che consentano di individuare, sempre in concreto, come e quanto l’applicazione delle buone prassi di sanificazione abbia inciso, in un trend storico da descrivere, sulla insorgenza – e controllo- delle infezioni ospedaliere. Non è infatti revocabile in dubbio che se correttamente e concretamente applicate tali buone prassi, si dovrà evidentemente evidenziare, da una verifica storica, il miglioramento – nel senso di diminuzione – del numero delle infezioni registrate nei singoli dipartimenti, unità e reparti nei quali si articola l’attività del nosocomio. Nonché 2) dei provvedimenti che siano stati assunti all’esito delle verifiche di cui alla lettera a); 3) alla attuazione di corsi periodici di aggiornamento obbligatori per il personale medico-sanitario che rendano icasticamente significativi e vividi i contenuti delle predette circolari e protocolli emanati dalla direzione sanitaria del nosocomio; 4) alla instaurazione di obiettivi che ogni dirigente di reparto debba predisporre periodicamente e preventivamente in merito alla diminuzione, a seguito delle buone prassi applicate in materia, della insorgenza di I.O.;  5) alla verifica (con quanto ne consegue) di come i dirigenti dei singoli dipartimenti abbiano tradotto in pratica tali indicazioni, protocolli e circolari e del se abbiamo o meno raggiunto e soddisfatto l’obiettivo preventivamente programmato, dovendo motivare in contrario le ragioni del risultato negativo.”

 

Dunque, programmazione e pianificazione ma soprattutto azione – anche e soprattutto attraverso il Comitato I.O. (organo essenziale per la redazione ed approvazione dei documenti e protocolli in tema di prevenzione delle infezioni ospedaliere) – allo scopo di rendere effettivo ed adeguato quel necessario processo di sanificazione, senza tuttavia dimenticare la utilità al caso concreto, laddove l’attenzione al paziente deve risultare determinante per l’applicazioni pratiche di particolare necessità, attese le condizioni pregresse del paziente che – se apriori deteriorate – fanno inevitabilmente salire l’indice di Rischio Effettivo (l’I.R.I.) e la classe di rischio (A.S.A.)

 

La analisi, quindi, altamente specialistica del Magistrato delle distinte condizioni che si ritengono necessarie siccome parametrate, se non appaganti sulla prova perché circostanziate solo su vacue attività burocratiche della Struttura, spinge lo stesso Estensore a formulare – accertato un rapporto causale – un giudizio preventivo di autodeterminazione conciliativa tra tutte le parti del giudizio, le quali, sempre secondo l’interpretazione del Tribunale, sono in possesso di tutti gli strumenti e le conoscenze per pervenire ad un accordo favorevole per ciascuna di esse.

Conseguenza di ciò, è l’invito alla mediazione demandata (ai sensi dell’art. 5 co.II° decr.legsl.28/10 come modificato dal decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69) che rappresentata, quindi, per il Tribunale di Roma – Giudice dott. Massimo Moriconi – “…considerati i gravosi ruoli dei giudici ed i tempi computati in anni per le decisioni delle cause, una soluzione, che va assunta in un ottica non di preconcetto antagonismo giudiziario, ma di reciproca rispettosa considerazione e valutazione dei reali interessi di ciascuna delle parti, non potrebbe che essere vantaggiosa per tutte le parti…”

In una tale prospettiva, specialmente se l’organismo di mediazione ed il mediatore saranno scelti in base ai criteri della competenza e della professionalità – continua il Magistrato – l’invio in mediazione effettuato da parte del giudice ai sensi del riformato secondo comma dell’art.5 decr.lgsl.28/10, non è più un semplice invito bensì rappresenta un ordine presidiato da sanzioni per la parte resasi inadempiente e/o non collaborativa e/o non partecipativa.

 

Ulteriore richiamo il Tribunale di Roma rivolge nei confronti di quei soggetti – Strutture – pubblici (si aggiungano anche privati) che sono restii a partecipare, pur quando ritualmente convocati, al procedimento mediazione. Ove mai l’esistenza di una posizione pregiudiziale in tal senso non esista, non sarebbe da aggiungere altro. In caso contrario vale ricordare che la partecipazione al procedimento di mediazione demandata è obbligatoria per legge e che proprio in considerazione di ciò NON è giustificabile la scelta aprioristica di rifiuto e di non partecipazione al procedimento di mediazione stesso. Neppure ove tale condotta muova dal timore di incorrere in un danno erariale a seguito della conciliazione. Va, infatti, considerato che in tale timore è insita un’aporia. A prescindere che esiste la possibilità di un autorevole e rassicurante ausilio nel percorso, sta di fatto che la legge, nel disciplinare la mediazione, sia dal punto di vista attivo (istante) che passivo (convocato), non fa alcuna eccezione per quanto riguarda l’ente pubblico.

 

Invero, tale richiamo partecipativo, operato dal Tribunale Capitolino – con espressa attenzione ai giudizi di responsabilità medica e/o professionale –, si ritiene debba essere rivolto – in assenza di una specifica causa giustificativa – anche al terzo chiamato (Compagnie di assicurazione), qualora l’indagine compiuta in sede giudiziale abbia valutato – seppur sommariamente ma compiutamente – anche gli aspetti più rilevanti delle azionate domande di manleva/garanzia.

Avv. Gianluca Messercola

 

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