Attraverso la scelta dell’amministratore da parte del beneficiario è possibile esprimere, nella richiesta di amministrazione di sostegno, ai sensi del combinato disposto degli artt. 406 e 408 c.c., proprio l’esigenza che questi esprima, in caso di impossibilità dell’interessato, il rifiuto di quest’ultimo di determinate terapie.
Tale esigenza rappresenta la proiezione del diritto fondamentale della persona di non essere sottoposto a trattamenti terapeutici, seppure in via anticipata, in ordine a un quadro clinico chiaramente delineato.
L’applicazione dell’amministrazione di sostegno presuppone la sussistenza di una ipotesi nella quale una persona sia priva, in tutto o in parte, di autonomia – non solo a cagione di una infermità di mente, come nel caso dell’interdizione, ai sensi dell’art. 414 c.c. – bensì anche per una qualsiasi altra “infermità” o “menomazione fisica”, anche parziale o temporanea, che lo ponga nell’impossibilità di provvedere ai propri interessi.
Per il che, il giudice – in siffatta ipotesi, corrispondente allo schema normativo di cui all’art. 404 c.c. – è tenuto, in ogni caso, a nominare un amministratore di sostegno poichè la discrezionalità attribuita dalla norma ha ad oggetto solo la scelta della misura più idonea (amministrazione di sostegno, inabilitazione, interdizione), e non anche la possibilità di non adottare alcuna misura, che comporterebbe la privazione, per il soggetto incapace, di ogni forma di protezione dei suoi interessi, ivi compresa quella meno invasiva.
Ne discende che soltanto la persona che si trovi nella piena capacità psico-fisica non è legittimata a richiedere l’amministrazione di sostegno, presupponendo l’attivazione della procedura la sussistenza della condizione attuale d’incapacità, in quanto l’intervento giudiziario non può essere che contestuale al manifestarsi dell’esigenza di protezione del soggetto.
continua...
RISERVATO AGLI ABBONATI A RISCHIOSANITA'.it
REGISTRATI |